Adolescenza: grandi fatiche e grandi gioie.
Il periodo dell'adolescenza rappresenta un'età di grandi cambiamenti e scoperte, ma anche di grandi paure. Una fase in cui per ognuno di noi diventa primaria la costruzione di una propria…
Il periodo dell'adolescenza rappresenta un'età di grandi cambiamenti e scoperte, ma anche di grandi paure. Una fase in cui per ognuno di noi diventa primaria la costruzione di una propria…
Nessun bambino può fare a meno della relazione con il genitore, o chi ne fa le veci: ne va della sua sopravvivenza, fisica e psicologica. E ha bisogno che tale relazione sia sufficientemente sicura e prevedibile. Quando non lo è, il bambino inconsapevolmente mette in atto comportamenti, che noi siamo abituati a leggere come “sintomi psicologici” di disagio, ma che in realtà sono tentativi di “curare” la relazione con il genitore, rendendola più prevedibile e controllabile, anche se carica a volte di sofferenza per entrambi. Tali difficoltà si possono affrontare con due modalità: fornendo al bambino lo spazio di racconto-gioco con lo Psicologo, attraverso cui esplorare e bonificare l’idea di sé (ad es.: “sono degno di affetto o no? Sono forte o fragile?valgo o non valgo?”) e le rappresentazioni degli altri (ad es.: “sono disponibili o no a consolarmi? Mi aiuteranno o mi criticheranno? Gli altri sono pericolosi?”); il bambino verrà in tal modo accompagnato nello scoprire come esprimere e regolare le emozioni difficili (ansia, rabbia, tristezza).
Oppure attraverso un lavoro con i genitori, chiamato parent training, che nasce dalla consapevolezza che il disagio del bambino spesso esprime una difficoltà di relazione con le figure di riferimento, e quindi aiutando tali figure a meglio comprendere cosa stia succedendo in quel momento di vita dal punto di vista del figlio/a. Favorendo l’esplorazione dei vissuti dei genitori, spesso non facili da gestire in certi momenti, si può favorire l’acquisizione di posizioni e modalità più efficaci nel regolare la relazione col figlio, nel leggere e nel rassicurare i suoi bisogni affettivi, per liberarlo dalla necessità di usare inconsapevolmente il “sintomo” di disagio come richiesta di aiuto.